Dal Colectiv al Dall’Ara, con due lutti nel cuore

di Damiano Benzoni (@dinamobabel)

Allo stadio Dall’Ara di Bologna le fasce nere al braccio di Italia e Romania erano per le vittime degli attentati di Parigi di venerdì sera, per i morti del Bataclan.

Per i Tricolorii della Romania, però, il lutto era doppio, incastonato in 56 nomi che sono stati scritti in piccolo sopra ai numeri di maglia.

Si tratta delle vittime di un altro evento che ha scosso la nazione al punto di mobilitare la protesta di decine di migliaia di persone e forzare la caduta di un governo. Un’altra tragedia che, come quella del Bataclan, ha visto coinvolti giovani che assistevano a un concerto, uccisi non dal terrorismo ma, indirettamente, dalla corruzione: le vittime dell’incendio del Club Colectiv di Bucarest.

Come a Parigi, è un altro venerdì sera, il 30 ottobre.
Al Club Colectiv, un locale aperto negli spazi del vecchio stabilimento di calzature Pionierul, si tiene il concerto del gruppo metalcore Goodbye to Gravity. Gli effetti pirotecnici, però, incendiano le coperture insonorizzanti in poliuretano e, in un minuto e nove secondi, il Colectiv diventa una trappola di fiamme con una sola, stretta, uscita.
Ventisette muoiono ustionati, calpestati, asfissiati. Quasi duecento sono feriti: ventinove di loro perderanno la vita nei giorni successivi. Tra di loro c’è anche Tullia Ciotola, ventenne studentessa Erasmus napoletana giunta a Bucarest per studiare Scienze Politiche. C’era anche il suo nome sui numeri di maglia della Romania al Dall’Ara.

L’incidente del Colectiv ha messo a nudo le inadeguatezze di un sistema corrotto, con concessioni per locali pubblici rilasciate dietro mazzetta e con un sistema sanitario al collasso e incapace di gestire l’emergenza.

Al grido di Corupția ucide, la corruzione uccide, Bucarest scende in piazza: prima 25.000, poi – la sera dopo le dimissioni del primo ministro Victor Ponta – addirittura in 35.000. Al settimo giorno persino il presidente Klaus Iohannis si sente in dovere di riconoscere la piazza come un interlocutore legittimo e si reca nella storica Piața Universității per incontrare i manifestanti.

La protesta ha toccato anche il mondo del calcio, insorto contro la decisione della Lega di far disputare ugualmente le gare di campionato del week-end.
Particolarmente toccante la reazione dei tifosi della Dinamo Bucarest: i tifosi hanno esposto trenta striscioni, ciascuno con il nome di una delle trenta vittime dell’incendio fino a quel momento identificate, e uno striscione con la domanda De ce se joacă!? (“Perché si gioca!?”), prima di lasciare lo stadio dopo appena quindici minuti di gioco.

C’è tutto questo dietro a una Romania che, nelle proteste degli anni recenti, sta cercando di dimostrare la vitalità di una società civile rimasta fino a pochi anni fa addormentata. E la necessità di un risveglio si sente anche nelle vicende calcistiche del paese, che quest’anno si è qualificato all’Europeo dopo essere mancata dal 2008 sul palcoscenico continentale. Otto anni dall’ultimo Europeo, addirittura 18 dall’ultima Coppa del Mondo, disputata quando ancora Regele Fotbalului, il “re del calcio” Gheorghe Hagi, vestiva la maglia dei Tricolorii.

È questa la misura dell’impoverimento del calcio romeno.

Se nel 1986 lo Steaua Bucarest era stato in grado di strappare la Coppa dei Campioni al Barcellona grazie alle miracolose mani di Helmuth Duckadam, se negli anni ’90 i migliori talenti del paese potevano ancora illuminare i campionati più prestigiosi, ora la nazionale romena può contare solo su una squadra ormai senescente (il capitano Răzvan Raț ha 34 anni, Lucian Sânmărtean 36), piuttosto spuntata in attacco e con giocatori di bassa caratura.
La qualità della squadra è descritta dalle parole del cronista sportivo Emanuel Roșu:

Siamo molto poco consistenti in attacco, da centrocampo in su abbiamo alcuni giocatori modesti e alcuni ragazzi che poi si sono persi. Non abbiamo quello di cui c’è bisogno a questo livello. Il punto forte è la difesa: lì stiamo bene, ma nemmeno lì possiamo vantare un dream team.

La crisi è chiara anche a livello di club.
Negli ultimi tempi sono scomparse squadre come Universitatea Craiova e Unirea Urziceni (campioni nel 2009), entrambe inghiottite da debiti. Lo scorso anno ad accedere al primo turno preliminare di Europa League è stato il modesto Botoșani, qualificatosi nonostante fosse arrivato soltanto ottavo in campionato: nessuna licenza è infatti stata concessa dalla UEFA a quattro delle squadre che precedevano il Botoșani in classifica (CFR Cluj, U Craiova, Dinamo Bucarest e Petrolul Ploiești), oltre che alla finalista di Cupa Romaniei Universitatea Cluj, tutte con problemi di insolvenza.

In questa stagione, la sfida a due inscenata lo scorso anno da Steaua Bucarest e dal sorprendente Târgu Mureș non si sta ripetendo.
Il Târgu Mureș aveva sognato in grande con l’ingaggio di Dan Petrescu come allenatore. Un idillio durato solo un mese, il tempo per disputare una partita e vincere la Supercupa Romaniei contro lo Steaua: il giorno dopo Petrescu veniva svincolato grazie a una clausola rescissoria e accettava un lucroso contratto nel campionato cinese.
La squadra ha affrontato alcune difficoltà finanziarie e ha cambiato un altro allenatore, ritrovando solo recentemente un po’ di stabilità sotto la guida dell’italiano Cristiano Bergodi, ex difensore di Pescara, Lazio e Padova.

Ancora più confusa la situazione dello Steaua, costretta per quasi un anno a giocare senza stemma e senza poter usare il proprio nome, sostituito dall’anonimo acronimo FCSB.
Un evento inusuale dovuto alla continua frizione tra il ministero della Difesa romeno, la vecchia struttura statale a cui faceva capo lo Steaua fino agli anni ’90, e il proprietario de facto Gigi Becali, un imprenditore immobiliare dai trascorsi torbidi che attualmente dirige la squadra dal carcere di Poarta Albă, dove è detenuto dal 2013 per aver istigato degli ufficiali dell’esercito all’abuso della loro posizione.
Dal 2011 Becali e il ministero della Difesa, rappresentato dal giurista Florin Talpan, stanno combattendo una guerra legale sulla proprietà del nome e sui diritti d’utilizzo dei simboli dell’ex squadra dell’esercito.

Sullo sfondo dei processi e delle dichiarazioni incrociate di Talpan e Becali alla stampa, si è consumata una crescente disaffezione del pubblico rispetto alla squadra, eliminata dal Partizan Belgrado al secondo turno preliminare di Champions e poi dal Rosenborg allo spareggio per l’Europa League.

Nonostante la squadra ora sia terza a soli sei punti dalla vetta, un segnale del suo declino c’è stato anche nella gara con l’Italia: nemmeno uno dei giocatori scesi in campo era stelista.

La prima della classe in questo momento è l’Astra Giurgiu, trascinata dal talento dei propri attaccanti, Constantin Budescu e Denis Alibec, e dalle capacità motivazionali dell’allenatore Marius Șumudică.
Un successo che però non riesce a nascondere i problemi finanziari di una squadra che non ha pace dal punto di vista economico.

Sul secondo gradino della graduatoria siede una squadra con un nome che è tutto un programma: Viitorul, il futuro.

La squadra è stata fondata da Regele Fotbalului in persona, Gheorghe Hagi, e basa la propria filosofia sulla crescita dei giovani talenti romeni dell’accademia calcistica gestita dal giocatore. Non solo Hagi è fondatore, proprietario e allenatore della squadra: è anche capostipite di una dinastia calcistica.
La fascia di capitano della squadra spetta infatti al giovane Ianis Hagi, diciassette anni, figlio di Gheorghe, da cui sembra aver ereditato tutto il talento. Il giovane Hagi è stato ceduto alla Fiorentina durante l’estate per un milione di euro, ma i Viola hanno preferito concederlo in prestito al suo club di provenienza.
L’entusiasmo di Emanuel Roșu nel descrivere il progetto di Hagi potrebbe bastare a spiegare il successo della squadra:

Il Viitorul è Hagi, che è un genio. Quel che sta succedendo oggi al Viitorul è dovuto al fatto che Hagi è un allenatore eccellente. Sono arrivati diversi giocatori in cui il mondo non vedeva nulla di che, ma che lui ha considerato in grado di lavorare all’interno del suo disegno. E l’hanno fatto perfettamente.
Di fianco ai ragazzini dall’accademia, sono arrivati uomini con esperienza, non necessariamente uomini sensazionali o con un CV magistrale. E con tutti loro, la squadra sta andando in maniera eccellente.

Che, come in piazza, così sul campo, le nuove generazioni siano pronte a riscattare la Romania da un presente di poche speranze, corruzione e mediocrità?