Russia 2018, l’Argentina di Jorge Sampaoli al bivio

No vengo por la clasificación, vengo por que te quiero

Su una maglietta di un tifosa peruviana leggo questa scritta, una frase che avevo sentito tempo fa proprio in uno spot motivazionale, di quelli che vanno molto prima del Mondiale. È originale peruviana, ma può, anzi deve essere declinata in senso universale. Il Mondiale è la più grande manifestazione sportiva del globo. La Russia è oggi è attraversata da tanti innamorati del meraviglioso gioco del calcio. Per questo noi di MondoFutbol abbiamo deciso di esserci, anche per respirare questa inimitabile sensazione di come lo sport possa diventare la calamita della gente. Abbiamo detto più volte, riprendendo l’amico Federico Buffa, come il fútbol sia l’esperanto del pianeta. Qui è ancora più necessario, dato che è molto complicato comunicare con le persone del posto, piuttosto impermeabili anche alla lingua inglese: è un continuo ricorrere al traduttore di cellulare e tablet: il vero elemento essenziale per girare la Russia!

Poi c’è il campo. Il Mondiale riserva sempre sorprese.

È la competizione di un mese, anche se si gioca ogni quattro anni. E quindi elegge la migliore squadra di questo periodo anche se il titolo vale per un lasso più lungo di tempo e rimane nella storia. Conta soprattutto questo mese, a cavallo di giugno e luglio, ma conta molto come ci si arriva. Tutte premesse indispensabili per cercare di iniziare a comprendere il maggiore tema di dibattito di questo inizio di Mondiale: l’Argentina.

Dopo il pareggio nella gara inaugurale contro l’Islanda, abbiamo scelto di accompagnare la seconda uscita dell’Albiceleste condividendo il viaggio pre-gara con la hinchada argentina. Partenza in pullman da Mosca, il mezzo più economico per arrivare a Nižnij Novgorod, la città che ha dato i natali allo scrittore Maksim Gor’kij, dove la squadra di Jorge Sampaoli incontra la Croazia, vittoriosa nella prima gara contro la Nigeria. Il mezzo vomita aria condizionata manco fossimo nel deserto: si tenta in ogni modo di tappare i bocchettoni dopo che le richieste all’autista diventano vane (il traduttore non ha potuto nulla, insomma…). Poi il sempre affascinante viaggio con i tifosi, specie quelli argentini.

Il Paese ha certo mille difetti come la sua gente, ma non esiste al mondo un “hincha” come quello argentino, come non esiste arte del relato come quello che ancora si ascolta alle foci del Rio de La Plata.

Il florilegio è sempre più colorito, man mano che ci si avvicina alla città di Gor’kij e quindi al match. Dopo i commenti sull’esordio dell’Argentina, il piano per cercare di spendere meno nel ritorno, organizzandosi per intercettare bla-bla-car, pulmini e mezzi affini… Ed ecco il classico dibattito su Maradona e Messi. Ormai anche da quelle parti si è fatta vieppiù consistente la corrente messiana, di cui facciamo parte. Rimane un gioco, ma ci si accanisce sempre con dibattiti, numeri e cifre sempre più approfondite e punti di vista interessanti. Da qui nascono dibattiti separati: com’era l’Argentina dell’86? Quella del ’90? poi si sterza su Ruggeri, Cuciuffo ed ecco Nižnij Novgorod.

L’ambiente straordinario si rovescia nel bell’impianto della città. I seggiolini bianco-azzurri sono ricoperti di vessilli bianco-azzurri. Il settore alla destra della tribuna stampa è bianco-rosso croato: è rumoroso, ma quando si accende lo stereo argentino, sovrasta tutto duellando con la solita musica odiosa sparata a tutto volume prima delle partite.  Tremano le gambe. Anche perché la tensione si respira, in tribuna e soprattutto in campo.

Vamos chicos… Soooooy argentino… es un sentimientooooo…

Jorge Sampaoli ha assunto la guida della Nazionale argentina dal 1° giugno 2017, un anno fa, dopo essersi svincolato dal Siviglia. La maggioranza della critica e dei tifosi argentini lo aveva richiesto a furor di popolo, dopo le feroci critiche a cui era stato sottoposto il suo predecessore, il Paton Bauza, uno che ha vinto due coppe Libertadores, con due squadre outsider, la LDU di Quito e il San Lorenzo, eppure era trattato come un assoluto incompetente.
Dirigere uno spogliatoio non è mai semplice, specie uno come quello dell’Argentina, quando ti chiedono una sola cosa: vincere.
La maglia albiceleste nel post Maradona è stata indossata da grandissimi giocatori eppure senza Diego è arrivato solo un titolo, in Copa América. Tutto questo viene spesso ricordato, meno, se guardiamo agli ultimi anni, che l’Argentina ha giocato una finale del Mondiale e due finali di Copa América. Perse, certo, senza in realtà mai davvero demeritare.

Tutto sta a dimostrare che la squadra, il cui leader tecnico indiscutibile è Leo Messi, è comunque competitiva agli altissimi livelli. Eppure gli ultimi anni sono stati attraversati da continui scandali in federazione, la cui gestione non può essere decisamente presa a modello.
Durante la fase di qualificazione a Russia 2018, l’Argentina ha cambiato tre CT, il Tata Martino, Bauza e ora Sampaoli, e ben quattro presidenti federali dopo la morte, nel 2014, di Julio Grondona, storico e sempre chiacchierato dirigente di livello mondiale.

Sampaoli ha certamente brigato per ottenere il posto di Bauza. Lui per primo tuttavia sapeva che non sarebbe stato facile.

Certamente la sua Universidad de Chile, squadra fantastica, aveva una identità chiara che aveva col tempo forgiato. Nel Cile, il piano era stato maggiormente agevolato dal lavoro di Marcelo Bielsa, che aveva definito uno stile che nemmeno l’interregno di Claudio Borghi era riuscito a smantellare. Anzi, proprio le importanti fondamenta costruite dal Loco avevano in qualche modo respinto le ristrutturazioni che Borghi aveva legittimamente proposto. Respinto il corpo estraneo, ecco Sampaoli, che dà seguito al lavoro di Bielsa, evolvendo, instaurando un gioco di pause (l’opzione Valdivia), anche per merito della consulenza di Juanma Lillo, storico punto di riferimento guardioliano. L’Argentina era rimasta un cantiere.

Gli architetti precedenti, specie Sabella e Martino, avevano tentato di dare solidità e continuità ai loro progetti, intercettando anche fasi di buon calcio. Ma la pressione della vittoria finale, le continue critiche dei media, inevitabili ma troppo spesso superficiali (soprattutto votate più al sentito popolare che a un reale approfondimento), avevano contribuito a rendere vano qualsiasi piano di consolidamento. Il tutto condito con i continui scandali a livello federale, il vuoto di potere del post Grondona e una crisi finanziaria che pare incomprensibile per una Nazionale che ha introiti non indifferenti.

Sampaoli aveva un anno di tempo per cercare una identità di gioco.

Che deve essere incastonata attorno al brillante più lucente, quello di Messi. Sampaoli ha condiviso l’idea di mettere da parte una formazione che, almeno a inizio gara, comprendesse Leo e altri due attaccanti puri. Con il 10 in campo sarebbe andato un 9 puro insieme ad elementi più dinamici, per cercare un ritmo offensivo che, nonostante la qualità degli interpreti di cui può disporre, non riusciva ad esserci con continuità. Il processo di avvicinamento al Mondiale è stato una continua rincorsa, procedendo per tentativi, alla ricerca di tale identità. Ma non si poteva certo attendere una Argentina ben definita: i risultati avrebbero dovuto dare in qualche maniera la serenità per proseguire il cammino. Non sono arrivati, anzi.
Nella conferenza stampa successiva alla gara un Sampaoli decisamente giù come naturale, non trovava nemmeno le parole per spiegare l’insuccesso e il dolore.

“Volevo aggredire il centrocampo croato, recuperare alta la palla e gestirla offensivamente con la nostra qualità e arrivare presto da Leo, come invece non siamo riusciti a fare per tutto l’incontro, nemmeno dopo l’ingresso di Pavon, che volevo nel secondo tempo proprio per aumentare le opzioni offensive.”
Sono entrati anche Higuain e Dybala, ma poco è cambiato. Siamo andati ko dopo il gol subìto: psicologicamente non siamo riusciti a reagire. Le colpe sono tutte di chi dirige la nazionale, quindi mie”, ci ha tenuto ad aggiungere l’ex CT del Cile.

I tanti che lo acclamavano a inizio mandato sono già seduti dalla parte avversa, in un gruppo che ogni giorno assomma nuovi elementi.

Sono nate voci incontrollate su una sua possibile sostituzione prima del match contro la Nigeria, messe in giro senza nessuna conferma della fonte. Come capita spesso agli allenatori, oggi Sampaoli è un uomo solo.
L’ultima volta che l’Argentina non si è qualificata per gli ottavi correva l’anno 2002, lì però la situazione era profondamente diversa. La squadra allora diretta di Marcelo Bielsa nella fase di qualificazione espresse il miglior calcio collettivo che l’Albiceleste avesse mai messo in opera: pareva tornata La Nuestra, il modo in cui gli argentini interpretavano il calcio prima dell’eliminazione dai Mondiali del 1958, che segnò un decisivo mutamento nella storia di quel fútbol. L’eliminazione dalla rassegna nippo-coreana fu ancora più clamorosa perché decisamente inaspettata, specie con quelle proporzioni.

Rimane ancora oggi un mistero, un buco nero inesplorabile. Oggi è tutto diverso ma l’Argentina è ancora lì, sul crinale, a un passo dal dal dirupo. La storia di un popolo in perenne ricerca di identità, unito dal mastice di un bandoneón che suona una musica che scende in profondità e ti tocca l’anima, sempre a metà strada tra l’approdo spirituale e il profondamente terreno.
La contraddizione perenne di uomini che non sanno vivere se non in questo modo. E possiedono da sempre una malattia, trasmessa di generazione in generazione; el fútbol, laputamadre, el fútbol.

 

Credits
Foto copertina e articolo ©LaPresse
Foto conferenza stampa Sampaoli ©MondoFutbol/Carlo Pizzigoni