Euro U19 2018, il racconto di MondoFutbol (parte I)

Un po’ come l’inarrivabile tramonto della Finlandia occidentale, che in estate arriva vicino alla mezzanotte ed è sempre spettacolare con quegli inserti di giallo e rosso sovrapposti. Così il calcio del Vecchio Continente continua a essere vivissimo, e non solo per le quattro finaliste che ha inviato al Mondiale di Russia. Pochi giorni dopo il fischio finale della rassegna iridata, a Vaasa e Seinäjoki si è giocata la più importante manifestazione giovanile per nazioni del continente, l’Europeo Under 19. Il torneo si è chiuso con una finale spettacolare, dopo una serie di partite per lo più molto interessanti. Lo ha vinto il Portogallo in finale sull’Italia, una gara che ha mostrato qualità e lacune inevitabili, come di solito capita ai ragazzi che sono impegnati in un naturale percorso di crescita per diventare giocatori veri: le emozioni che hanno accompagnato la partita rappresentano un bello spot per il calcio giovanile che ha ottenuto un ottimo riscontro anche televisivo, con la diretta su RAI2. Peccato non si sia potuto vedere, da noi, il torneo nella sua interezza, crediamo che non pochi appassionati si sarebbero seduti di fronte al video.

A parziale consolazione, al solito c’è MondoFutbol. Abbiamo dovuto fare gli straordinari e traslocare frettolosamente dalla Russia alla Finlandia, perché come d’abitudine, abbiamo preferito vedere dal vivo ciò che raccontiamo. Siamo stati l’unica testata presente in loco. Un po’ spiace notare la sempre minore attenzione, quando non la poca cura,  per competizioni di questo livello: raccontare gli albori della carriera del ragazzo permette già da subito di cercare di riconoscere e interpretare il percorso che i giocatori che verranno stanno iniziando, elemento importante di discernimento e di analisi anche a posteriori, quando tra qualche anno chi abbiamo ammirato in Finlandia calcherà i prati dei più prestigiosi stadi del mondo.

L’orgoglio di MF è quello di aver accompagnato quel percorso, di averlo riconosciuto fin dall’abbrivio, ed è per questo che non ci appartiene nessun giudizio tranchant.

Nelle righe che seguono, troverete una sintesi delle nostre infinite pagine di bloc-notes che avevamo con noi in Finlandia. Non troverete, certo, tavole della legge dettate da non meglio precisate autorità calcistiche (coi giovani, poi, sempre meglio stare un passo indietro e osservare, mai, mai, mai dare giudizi affrettati): ci interessa offrire solo analisi approfondite, secondo le nostre capacità, per riportare il lettore in quelle lande simpatiche e desolate dove si è giocato l’Europeo Under 19, al fine di costruirsi un’idea. L’obiettivo è stimolare la curiosità, offrire spunti sulla gioventù del calcio che verrà, nel Vecchio Continente, riconoscere insieme, senza alzare la voce, che il gioco più bello del mondo si gusta di più in questo modo.

L’Europeo dell’Italia

Onore ai vincitori del Portogallo ma grande plauso anche all’Italia, arresasi solo ai supplementari nella finale contro una squadra dal grande talento e dalla superiore qualità. Risultati alla mano, le due più importanti rassegne continentali riservate alle nazionali giovanili, l’Under 17 di maggio e questa Under 19, hanno visto la conquista, in entrambi i casi, della finalissima.

I risultati non devono essere e non sono solo specchio di un movimento, non lo sono mai a livello giovanile. Certamente sono però un segnale. Importante.

Esistono, ed è meglio citarle per prime, delle ombre, rispetto al nostro risultato. Siamo convinti che la proposta di gioco, nelle due più importanti Under, debba migliorare. Non è sufficiente, anzi, è solo un comodo alibi, richiamare alla nostra storia calcistica, in cui la fase difensiva ha sempre avuto una attenzione particolare. In questi casi, vale un po’ la massima di Menotti che dice come non sia vero che l’Italia difende sempre bene, la maggior parte delle volte difende con tanti uomini. Anche in questa Under, in molti casi gli esterni d’attacco sono stati molto più attivi in fase di contenimento che in quella di proposta. Giusto lodare il loro spirito, ma davanti si poteva osare di più. Tuttavia questo dettaglio racconta pure di un gruppo che almeno in campo ha dato la sensazione di avere uno spirito, una identità condivisa. Non si è mai arreso, ha giocato molto concentrato e ha sempre concesso poco agli avversari.

Merito di tutti, a cominciare dal portiere, Alessandro Plizzari, protagonista di un buon Europeo e di un brutta finale (ha giocato partite da grande protagonista e smussato, anche se non del tutto, i suoi difetti: quasi mai è andato per la presa, si è sempre peritato di compiere una buona e indirizzata respinta, ma alle volte c’è bisogno di certezze maggiori in area di rigore). In difesa c’è stata l’affermazione forse più sorprendente, quella di Raoul Bellanova (Milan, 2000). Ha giocato un Europeo di grande personalità, al netto di qualche sbavatura, specie nella fase difensiva lontano dalla palla ma ha conquistato sul campo il ruolo di terzino alla destra di Davide Bettella (Inter/Atalanta, 2000) e Gianmaria Zanandrea (Juventus, 1999), con Alessandro Tripaldelli (Juventus, 1999) a sinistra: i pochi gol presi sono certo merito del lavoro di tutta la squadra, ma la linea dietro ha retto anche bene di suo. Concentrandoci sui singoli e senza dimenticare che questa generazione ha tanti altri ragazzi di talento che sono rimasti, per svariati motivi, a casa (Luca Pellegrini, Gabriele Gori, Federico Valietti, ecc.), ottimo torneo per Sandro Tonali (Brescia, 2000), messo nel mirino anche da club stranieri. Bel piede, capacità di pressare in avanti, intuizioni ottime sugli intercetti. In mezzo bene pure Davide Frattesi (Roma/Sassuolo, 1999) e Nicolò Zaniolo (Inter/Roma, 1999); il neo giocatore romanista dovrà convincersi a giocare qualche metro più indietro se vorrà diventare giocatore di assoluto livello: ne ha le capacità tecniche e fisiche, per questo i suoi rientri devono essere più continui e puntuali. Non è facile, soprattutto non è immediato, arretrare il ruolo da trequartista in mediana, ma lui può benissimo riuscirci. Davanti l’Italia aveva tanta scelta: Moise Kean (Verona/Juventus, 2000) è andato meglio di tutti. Ha segnato, da subentrato, i due gol che hanno riaperto la finalissima, e in semifinale si è fatto trovare pronto nelle praterie offerte dai francesi. Ad attaccare la profondità, a difendere la palla in corsa è davvero devastante, almeno tra i suoi coetanei, ma il suo fisico ci suggerisce che sono caratteristiche che non perderà nemmeno giocando con continuità tra i grandi. Le sue doti atletiche sono un fattore, le sue letture devono invece migliorare. Esattamente come per Gianluca Scamacca (Sassuolo, 1999): il suo gran gol contro il Portogallo, nella fase a gironi, ci racconta dello straordinario potenziale come goleador ma deve metterci anche dell’altro. Buono anche l’Europeo, anche se l’impiego non è stato continuo, di Enrico Brignola, nelle ultime ore di mercato passato al Sassuolo, e dell’atalantino Christian Capone, in un parco di attaccanti che comprende anche Andrea Pinamonti (Inter, 1999). Dal punto di vista della completezza del giocatore, forse il nostro avanti con maggiore talento: sa giocare con e per la squadra, ma il suo momento di forma non esaltante non gli ha permesso di imporsi come voleva.

Per tutti c’è naturalmente tempo. Ribadiamo: pur nella non certo eccelsa proposta di gioco, la nostra nazionale, tutto il movimento sta compiendo passi avanti, in un percorso di crescita iniziato tempo fa col lavoro soprattutto del coordinatore Maurizio Viscidi. Siamo però partiti da lontano e la strada da fare è ancora tanta. Un aiuto per lo sviluppo dei talenti dei nostri giovani, lo si avrebbe nell’identificare un gradino ulteriore tra il campionato Primavera e le prime squadre, la delicata fase che la maggioranza dei nostri ragazzi soffre. Con l’importante Legge Costacurta sulle squadre B, quel passaggio è stato ratificato anche se quest’anno solo la Juventus è stata in grado di organizzare una compagine del genere. Siamo ancora nella fase di test, una fase importante anche eventualmente per migliorare le regole, forse un po’ troppo restrittive, che sono state create attorno alle formazioni B (perché questa limitazione sulle età dei giocatori?). A chi racconta in giro come questo tipo di formazioni sia distante dalla nostra mentalità ricordiamo come anche in Portogallo, che ha introdotto queste formazioni solo pochi anni fa, all’inizio esistevano delle resistenze. Proprio questo Europeo ha mostrato tutti i benefici delle seconde squadre, dove militano tanti dei campioni di questa manifestazione.

La nuova generazione portoghese

Quella gestita in panchina da Carlos Queiroz la chiamarono “Geraçao de Ouro”, ne facevano parte i Rui Costa e i Figo: hanno vinto due mondiali giovanili consecutivi, nel 1989 e nel 1991, e hanno smosso un calcio che era fermo dai tempi di Eusebio. Qui in Finlandia, abbiamo  visto una generazione che promette di raggiungere addirittura quelle vette che parevano irripetibili. Un nuovo grande viaggio.

Abbiamo eletto João Filipe (Benfica, 1999) migliore giocatore della manifestazione. Troppa la sua abilità pala al piede, la sua capacità di vedere con continuità la porta, la sua creatività, aiutata dall’utilizzo di entrambi i piedi.

Parte da sinistra nel 4-3-3 di Hélio Sousa (dal 2010 sulle panchine delle selezioni giovanili portoghese: un chiaro punto di riferimento), e poi entra nel mare aperto delle difese avversarie senza lasciare nessuna idea sulla sua rotta: può andare ovunque e ha la capacità di trovare sempre l’approdo più interessante. Un fenomeno, con un futuro già segnato.  Il Portogallo ha espresso il calcio più piacevole e messo in mostra una quantità di giocatori clamorosa. Difficile evitare di segnalarne solo qualcuno. C’è una nutrita pattuglia di indispensabili, in primis l’esterno d’attacco Francisco Trincão (Braga, 1999): parte a destra controllando palla col sinistro, ti viene in centro ma può pure catturare la linea di fondo e crossare senza problemi.

Senza dimenticare Rúben Vinagre (Wolverhampton 1999), terzino sinistro di estrema qualità, che si eccita con i tocchi di suola per venire dentro al campo a scambiare come un centrocampista vero, à la Maxwell, o ti chiude il campo con un cross à la Jordi Alba, e come lui non disdegna, anche se oggi qualche volta abusa, dell’uno contro uno, anche partendo da fermo. Oppure Domingos Quina (West Ham, 1999), interno di centrocampo, pause e accensioni che illuminano, artista dell’uno-due al limite dell’area di rigore, bravo nei contrasti e con una castagna da fuori spesso imprecisa ma che quando esce bene diventa pericolosissima (favolosa la rete contro l’Italia, nella partita del gironcino), o Florentino (Benfica, 1999). Ha giocato quasi sempre davanti alla difesa, pur non avendo particolari problemi ad adattarsi nel ruolo di interno (corsa rotonda e pulita) o in centrocampo a due (anche grandi doti di aggressione della palla, di letture difensive ed equilibranti). Ultimo ma non ultimo Zé Gomes (Benfica, 1999). Non è il centravanti bomber che si mormorava quando era ancora giovanissimo, ma un talento che può diventare un 9 di manovra moderno, ha capacità tecniche e buone letture nei 18 metri finali. Ha perso un po’ del killer instinct sotto porta: frutto del momento o della sua evoluzione in un giocatore più completo?

Nell’ultimo campionato europeo, quello dei grandi, il Portogallo ha giocato sempre con almeno metà dei giocatori in campo, formati nel vivaio dello Sporting. Stavolta la rappresentanza non è così nutrita, ma due giocatori devono essere segnalati: Miguel Luís e Thierry Correia. Il primo, che ha perso solo la finale per un infortunio dell’ultima ora, è l’uomo di equilibrio in mezzo al campo.

Si abbassa in costruzione, dà la rifinitura nell’ultimo terzo di campo, insomma il giocatore che non prende la scena ma fa vincere le partite, anche per le sue capacità di movimento senza palla.

Thierry Correia ha portato la sua vitalità sulla fascia destra, orfana di Diogo Dalot (a proposito, quanti altri talenti ha questa generazione portoghese che per svariati motivi non sono venuti in Finlandia? A parte il neo terzino del Manchester United non hanno visto il sole a mezzanotte nemmeno Gedson Fernandes, David Tavares, João Félix, Diogo Leite…). Lo ha bocciato più di uno scout (il racconto delle loro avventure meriterebbe sempre un capitolo a parte, e presto inaugureremo una rubrica che li riguarda), ma Thierry, che certamente non è il più tecnico fra i lusitani, ha mostrato grande coinvolgimento nel gruppo, grande attenzione nelle piccole cose di una partita, ed evidenziato anche situazioni di lettura non ordinarie nelle occasioni in cui, ad esempio, ha rivestito il ruolo di interno in alcune circostanze di gioco ormai sempre più diffuse anche a livello giovanile. Aggiungiamo un portiere con buon fisico e sempre sicuro come Diogo Costa e tre centrali difensivi che si sono sempre dimostrati concentrati. Il migliore, almeno qui in Finlandia, è quello che è partito come riserva di Diogo Queirós e Romain Correia, David Carmo, un gran piede sinistro, peraltro. Non male anche chi ha giocato meno (Hélio Sousa ha praticamente sempre proposto lo stesso undici). Pedro Correia ha realizzato il gol decisivo nella finale, Dju è stato il primo cambio degli attaccanti, utile a cambiare ritmo della fase offensiva pur essendo qualche step dietro rispetto ai suoi compagni di reparto, Nuno Henrique ha giocato una super finale, davanti alla difesa in sostituzione di Miguel Luis, mostrando fisicità e concentrazione in un ruolo molto delicato, specie per una squadra con tanto talento offensivo come il Portogallo.

Nella prossima puntata, l’Europeo degli altri.

Foto di copertina ©Lusa
Foto Italia ©Getty Images
Foto Moise Kean ©AP
Foto Francisco Trinc
ão (a sinistra) e João Filipe ©Sportsfile
Foto Portogallo ©Imago